AAT in nucleo Alzheimer
*Istituto Geriatrico Ca’ d’Industria ed Uniti Luoghi Pii, 22100, Como, Italy;
**AIUCA, Italy;
Tra le patologie che colpiscono gli anziani, la demenza –e in particolar modo la demenza di Alzheimer- è la patologia che presenta le sfide più ardue, sia sotto l’aspetto sanitario (ricerca di trattamenti veramente efficaci) sia sotto l’aspetto sociale (difficoltà a mantenere l’ammalato al proprio domicilio, sovvertimento dell’ordine famigliare) sia infine sotto l’aspetto economico. Se si calcola che in Italia gli ammalati di demenza sono circa 650.000, ben si comprende il peso apportato dalla malattia su tutta la società, oltre ovviamente sull’individuo che ne è colpito.
Né a ridurre questo carico è pervenuto in misura tangibile il trattamento farmacologico: nonostante le speranze suscitate dall’impiego dei farmaci inibitori dell’acetilcolinesterasi, l’efficacia degli stessi nel modificare la storia naturale della malattia appare alquanto modesta, per non dire quasi inavvertibile da parte dei caregivers e dello stesso malato. In più questi farmaci –molto costosi!- se hanno qualche efficacia, la dimostrano solo nei pazienti con demenza lieve o moderara, ma non in quelli con demenza severa; e per un tempo limitato (6 mesi-un anno). Peraltro anche l’impiego di farmaci neurolettici –questi sì abbastanza efficaci- nel contrastare gli aspetti più disturbanti della malattia (agitazione, aggressività, allucinazioni, ecc.) se rende un po’ più “gestibile” l’ammalato, non influisce minimamente sul decorso della malattia e comunque non è scevro da rischi ed effetti collaterali, anche pesanti.
In questo panorama abbastanza scoraggiante, l’utilizzo di approcci alternativi all’intervento farmacologico, e di interventi relazionali in particolare, acquista notevole rilievo, pur proponendosi questi degli scopi non del tutto sovrapponibili a quelli dell’intervento farmacologico. Dove infatti quest’ultimo mira a curare il sintomo (l’agitazione piuttosto che il disorientamento, l’allucinazione piuttosto che la perdita di memoria) o l’alterazione biochimica che è all’origine della malattia (deficit di un neurotrasmettitore quale l’acetilcolinesterasi), l’intervento relazionale mira ad accrescere il benessere del paziente, all’accettazione della sua personalissima realtà (adattando a questa il nostro comportamento), al miglioramento di certi sintomi (ad esempio perdita di memoria o depressione) grazie ad opportuni stimoli. Già da molti anni si è visto che per molti anziani e persone sole gli animali sono in grado di soddisfare bisogni emozionali vitali (B. Levison). Ciò si è dimostrato vero anche in persone affette da demenza. In particolare l’utilizzo dell’AAT è risultato in grado di manifestare un effetto positivo:
– sul tono dell’umore:
Riduzione della depressione; Aumento dei segnalatori di interazione sociale (sorrisi, contatti fisici e verbali, ecc.);
– sui parametri cognitivi:
Miglioramento dell’attenzione; Miglioramento della coerenza verbale; Stimolazione della memoria;
– sulle alterazioni comportamentali:
Riduzione dell’agitazione; Riduzione dell’aggressività; Riduzione dell’ansia; Riduzione dell’apatia;
– sul miglioramento del benessere.
E’ interessante notare che alcuni studi segnalano, di conseguenza, una riduzione del bisogno di psicofarmaci.
Partendo da questi presupposti, dal gennaio del 2000 è in corso la collaborazione tra l’Associazione Italiana Uso Cani di Assistenza (AIUCA) -che utilizza cani appositamente addestrati e condotti dagli istruttori stessi- e il personale dell’Istituto Geriatrico Ca’ d’Industria di Como (medico, animatrice, fisioterapista, ausiliari) per praticare di AAT nella Alzheimer Special Care Unit (ASCU) della nostra Nursing Home su pazienti con gravi alterazioni comportamentali e cognitive (NPI Scale > 24, MMSE < 16).
(la scala UCLA-NPI o Neuropsychiatric Inventory è una scala che misura le alterazioni comportamentali o Behavioural and Psychological Symptoms of Dementia (BPSD) in base alla gravità e alla frequenza dei sintomi; più alto è il punteggio, tanto maggiori e disturbanti sono i BPSD.
Il Mini Mental State Examination è una scala che misura le capacità cognitive (memoria, capacità di far di conto, orientamento, ecc.); tanto più basso è il punteggio, tanto più sono compromesse queste capacità).
In una seduta di un’ora -per una-due volte/settimana- tenuta in un apposito locale, ognuno dei 19 ricoverati nella ASCU viene invitato dal nostro personale, assieme agli Istruttori dell’AIUCA, a interagire con il cane (accarezzarlo, spazzolarlo, porgergli piccoli bocconi, camminare tenendolo al guinzaglio). Viene inoltre richiesto ai partecipanti di rievocare possibili ricordi ed esperienze con animali o a rispondere a precise domande inerenti l’animale. Se il paziente mostra di non gradire il contatto con l’animale, viene gentilmente accompagnato fuori dalla stanza.
La grande maggioranza dei ricoverati mostra di gradire il contatto con l’animale; solo il 10% circa dei ricoverati si sono dimostrati del tutto contrari, mentre in una percentuale analoga si sono dimostrati completamente indifferenti. E’ degno di nota il fatto che il clima della riunione risulta piacevole, rilassato, spesso con segni di vero divertimento da parte dei ricoverati. Sotto l’aspetto cognitivo e comportamentale, abbiamo riscontrato un discreto aumento dell’attenzione, un marcato aumento dell’interazione tra i ricoverati, una riduzione dei disturbi comportamentali, un miglioramento del tono dell’umore e talora un’interazione verbale pertinente al contesto, fatto quest’ultimo particolarmente rilevante. Onde valutare in modo più rigoroso gli effetti del trattamento, 11 pazienti sono stati testati mediante la versione breve della Severe Impairment Battery (SIB). I primi riscontri mostrano un miglioramento dei vari items quando il paziente è esaminato in presenza del cane, rispetto alle condizioni basali. In particolare, è stato riscontrato un miglioramento statisticamente significativo nell’ambito del linguaggio: gli anziani che hanno partecipato agli incontri di AAT presentano un linguaggio più adeguato e capacità comunicative più fluide rispetto alle condizioni basali.
LA SIB (Severe Impairment Battery) è stata somministrata a 11 soggetti dementi, dapprima in assenza del cane, poi in presenza del cane, con questi risultati: in presenza del cane il punteggio totale della SIB è aumentato da 937 a 979 (+ 4.5%); il punteggio relativo all’area del linguaggio è aumentato da 428 a 455 (+ 6.3%); il punteggio relativo all’area della memoria è aumentato da 109 a 125 (+ 14.6%).)
Sembrerebbe inoltre confermata una lieve riduzione delle alterazioni cognitive.
In base a questi riscontri riteniamo perciò che l’AAT nei pazienti con demenza sia una risorsa efficace che merita di essere ulteriormente valutata e utilizzata.